Chi-siamo

Segretario generale: Michele Lombardo

Segreteria regionale: Fabiola Ortolano, Fabrizio Truono

Tesoriere: Alfredo Moschettini

 

Breve nota sulla storia del sindacalismo italiano e della UIL

La storia del sindacato comincia con la rivoluzione industriale, che ebbe inizio in Inghilterra nell’ultimo quarto del Settecento. Prima dei sindacati, la difesa dal lavoro era assicurata dalle corporazioni di arti e mestieri, le gilde medievali, che operarono in tutta Europa per circa seicento anni, dal XII al XVIII secolo. La corporazione medievale univa maestri, operai e apprendisti, che spesso non rappresentavano classi sociali diverse, ma diverse fasi della vita di uno stesso individuo. Si tratta, pertanto, di un’altra storia rispetto ai moderni sindacati, organizzazioni di lavoratori dipendenti. La Rivoluzione francese trattò le gilde come una componente della società feudale che intendeva superare, e le abolì per legge nel 1791, imitata da diversi altri Stati. Gli anni tra fine Settecento e iniziò Ottocento furono, quindi, durissimi per il mondo del lavoro, senza più gilde e senza ancora sindacati. In Inghilterra, le associazioni, e in particolare i sindacati, furono fuorilegge durante le guerre napoleoniche. Anche per questa ragione, le prime lotte furono illegali e talvolta violente, come nel caso del movimento di distruzione delle macchine industriali chiamato luddismo, dal nome di un personaggio leggendario, il generale Ned Ludd, al suo culmine negli anni 1811-12. Quando finalmente il divieto di associazione fu revocato, nel 1824, fu tutto un fiorire di sindacati: assumiamo pertanto quell’anno come il primo della storia del sindacalismo europeo.

In Italia, l’industria si sviluppò con decenni di ritardo, e così pure il sindacalismo. La prima forma di organizzazione dei lavoratori italiani furono le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS). Il primo impulso alla costituzione di queste organizzazioni venne da Giuseppe Mazzini, che già nel 1840, fondò la prima associazione politica operaia in Italia, l’Unione degli Operai Italiani. Il loro grande sviluppo si realizzò nei decenni dopo l’Unità d’Italia (1861). Gli aderenti alle società di mutuo soccorso, lavoratori specializzati, pagavano quote, onerose, per garantirsi un sostegno in caso di malattia e perdita del lavoro. Le mani che si stringono sono il simbolo maggiormente ricorrente. Le società di mutuo soccorso promuovevano inoltre formazione professionale e davano vita a cooperative di produzione e di consumo.

Poco dopo il 1870, cominciarono a nascere organizzazioni operaie di un nuovo tipo, le leghe di resistenza, ancora circoscritte agli specializzati, ma non più limitate al reciproco aiutarsi, bensì protese a rivendicare miglioramenti, salariali, di orario e normativi, dal padrone, anche con lo sciopero. In molti casi, le funzioni del mutuo soccorso e della resistenza si sommarono. Le leghe di resistenza sono le antenate delle moderne categorie, ma ci misero tempo prima di superare la dimensione locale e di aprirsi ai non specializzati, diventando organizzazioni nazionali e non più di mestiere, bensì d’industria.

L’ultimo quarto dell’Ottocento è ricco di lotte, spesso concluse con sconfitte, che però non fermarono la crescita del sindacalismo italiano. Come nel caso del primo grande sciopero della storia italiana, quello di Biella del 1877. L’Associazione laniera tentò di affossare il regolamento redatto dal giurista socialista Pasquale Stanislao Mancini nel 1864, l'atto di nascita delle relazioni industriali in Italia. Gli industriali preparano unilateralmente nuovi patti di lavoro con condizioni vessatorie. Il rifiuto di accettarli comportava il licenziamento in tronco. L’agitazione, vasta e intensa, finì male per i lavoratori biellesi: la mutua tessile venne sciolta e i capi dell’organizzazione, licenziati, dovettero fuggire o emigrare. Sconfitta anche la rivolta contadina del Polesine (Rovigo) del 1882-85 nota come “la boje” (nel senso di: la pentola bolle, non se ne può più) e per il movimento democratico e socialista dei Fasci siciliani del 1891-94, un’occasione perduta per una diversa evoluzione del Sud. Le istituzioni non intervenivano o, se lo facevano, lo facevano contro i lavoratori, come nel caso dei Fasci o del più emblematico degli interventi repressivi, quello del generale Bava Beccaris, che sedò i tumulti per il caro-pane a Milano prendendo a cannonate la folla (1898). Anni durissimi, ma il sindacato si organizza sempre meglio. Nascono le grandi categorie: nel 1901 vengono fondate sia la Federterra, l’organizzazione dei braccianti, una peculiarità del sindacalismo italiano, sia la Fiom, Federazione Italiana Operai Metallurgici (da distinguere dalla Fiom del dopoguerra, la Federazione Impiegati Operai Metallurgici, aderente alla Cgil, che dopo il breve periodo unitario, è sempre stata guidata da una maggioranza ostile al riformismo, al contrario della Fiom di Ernesto Verzi, primo segretario, e Bruno Buozzi). Argentina Altobelli (braccianti) e Bruno Buozzi (metallurgici), riformisti, sono i nostri punti di riferimento nel sindacalismo pre-fascista.

A fianco alle federazioni verticali di mestiere e industria, prese forma una seconda modalità di organizzazione dei lavoratori, orizzontale: le camere del lavoro, strutture territoriali, a partire dalla prima, la Camera del Lavoro di Milano, fondata nel 1891. Una prima grande vittoria viene colta proprio grazie alla dimensione confederale: lo sciopero di Genova contro la chiusura della camera del lavoro vede lavoratori di tutti i mestieri e le industrie fianco a fianco e si conclude con la revoca del provvedimento repressivo prefettizio (1900), cui seguì la prima caduta di un Governo, quello di Saracco, a seguito di una lotta sindacale, e la svolta impressa da Giolitti, che rese le istituzioni non più pregiudizialmente nemiche dei lavoratori. Nel 1904, il primo sciopero generale nazionale della storia sindacale d’Europa, in risposta agli eccidi di Cerignola (Puglia), Buggerru (Sardegna) e Castelluzzo (Sicilia).

Nel 1906, i rappresentanti delle Federazioni di Mestiere e delle Camere del Lavoro costituiscono la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), organo di rappresentanza generale. La guida della confederazione sarà sempre dei riformisti, a differenza di quanto avverrà a livello politico nel Partito Socialista, che nel 1912 vedrà prevalere i massimalisti.

È necessario avere chiare le differenze tra la CGdL fondata nel 1906, la CGIL del primo dopoguerra (1944-48) e la CGIL dopo le scissioni che daranno vita nel 1950 alla CISL e alla UIL: la CGdL fondata nel 1906 fu a maggioranza riformista, con in minoranza massimalisti e, dal 1921, comunisti (mentre i cattolici erano organizzati in un’altra confederazione, la CIL); la CGIL unitaria post-fascista mise insieme, sia pure per pochi anni, riformisti e comunisti, laici e cattolici; la CGIL dopo le scissioni del 1948-50 fu invece sempre guidata a maggioranza dalla componente comunista, culturalmente contrapposta al riformismo. È stata pertanto una forzatura della verità storica quella compiuta dalla CGIL nel 2006, quando ha preteso di festeggiare il “suo” centenario. La comune cultura riformista lega invece legittimamente la UIL a riformisti della CGdL. Per queste ragioni, la UIL ha sempre sentito forte consonanza con la confederazione generale del lavoro di prima della cesura fascista e ha fatto di Bruno Buozzi, che ne divenne segretario generale nel 1925 e durante gli anni dell’esilio in Francia, il proprio padre spirituale.

Accanto all’eredità principale della CGdL riformista, la UIL coltiva anche la memoria dell’Unione Italia del Lavoro, la UIdL (uidielle), che nacque nel 1918, non solo per il potere evocativo del nome. La UIdL fu espressione del sindacalismo rivoluzionario repubblicano; operò soprattutto in Emilia-Romagna e nel Veneto; subì una scissione fascista, si batté contro i fascisti, confluì infine nel 1925 nella CGdL. Non c’è una discendenza diretta dalla UIdL alla UIL, nondimeno, soprattutto in Romagna, le due storie condividono qualche dirigente sindacale e alcune suggestioni.

Il fascismo mise fine al sindacalismo libero. Il patto di Palazzo Vidoni con Confindustria (1925) sancì che gli imprenditori avrebbero riconosciuto esclusivamente i sindacati fascisti. Per un ventennio non fu più possibile la libera attività sindacale in Italia, se non in clandestinità. Il movimento dei lavoratori ebbe un ruolo nella caduta del regime, a partire dagli scioperi del 1943. Di grande valore il patto della montagna 1944-45, stipulato nel biellese sotto occupazione nazi-fascista: il primo atto in Europa con cui si stabilisce la parità retributiva tra uomo e donna. Il libero sindacato torna ad operare in Italia a partire dal Patto di Roma (1944), l’accordo negoziato tra comunisti, democristiani e socialisti, che costituì la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil), che Bruno Buozzi, che ne fu il maggiore artefice non poté firmare, essendo stato pochi giorni prima assassinato dai nazisti in fuga da Roma. Diversamente dalla CGdL del 1906, della Cgil del 1944 fecero parte anche i cattolici. Questa Cgil-di-tutti visse pochi anni. Il clima bipolare della guerra fredda subentrò a quello unitario. Dal 1948, cominciarono scissioni che nel 1950 portarono alla nascita della Uil e della Cisl. La nascita della Uil fu un atto di disobbedienza: avvenne, infatti, sconfiggendo un vasto disegno politico supportato dagli USA e dal Vaticano che prevedeva la formazione di un solo sindacato libero anticomunista, che sarebbe stato ingessato dentro le rigidità della guerra fredda, e dominato dai democristiani. La Uil, orgogliosamente riformista, e quindi contrapposta allo stalinismo, non di meno rifiutò la subordinazione politica del sindacalismo italiano agli schemi della guerra fredda, e si batté per l’unità d’azione sindacale e dei lavoratori su obiettivi sindacali concreti. Inoltre, la Uil sarà portatrice di cultura sindacale europea, che tra le mitologie filosovietiche comuniste e le suggestioni filoamericane cisline avrebbe avuto poca cittadinanza.

Le culture politiche della Uil sono plurali: risorgimentali, mazziniane, repubblicane, laiche, socialdemocratiche e socialiste. Costitutiva la scelta di autonomia e indipendenza da partiti e schieramenti politici.

Gli anni della ricostruzione furono duri e difficili per il sindacato. A fine anni ’60, l’Autunno Caldo evidenziò la conflittualità che si era accumulata negli anni del miracolo economico. Tutto l’Occidente ha avuto il ‘68, solo l’Italia il ‘69: non solo studenti da noi, ma lavoratori in lotta, aperti all’alleanza con studenti e disoccupati. Il sindacato saprà sindacalizzare le proteste e dar loro sbocchi, nei luoghi di lavoro e nella società, sostenendo politiche di riforma.

Il 20 maggio 1970 viene approvata la legge numero 300, conosciuta come Statuto dei Lavoratori. È il Ministro del Lavoro all'interno del secondo governo Rumor, Giacomo Brodolini, socialista, che si impegna per il progetto di legge sulla materia, che non potrà vedere realizzato perché morirà l’anno prima. Decisivo sarà l’apporto del professor Gino Giugni, presidente della Commissione di esperti incaricati dal Ministro di elaborare il testo. Il voto a favore della legge sarà più ampio della maggioranza parlamentare di centro sinistra, perché lo voteranno anche i liberali, mentre il PCI si asterrà. Lo Statuto darà impulso all’organizzazione del sindacato nei luoghi di lavoro, con legami organici con le strutture sindacali territoriali, di categorie e confederali. Finisce la lunga era delle Commissioni Interne, e comincia quella delle Rappresentanze Sindacali Aziendali.

I Consigli Generali Cgil, Cisl, Uil, del 24-25 luglio 1972, a Roma, ratificarono la nascita della Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Non l’unità organica che molti avevano sperato, ma una soluzione che comunque darà uno sbocco positivo, unitario, a un movimento possente di lotte sindacali e sociali, facendone fruttare la spinta con conquiste dentro e fuori i luoghi di lavoro, favorendo importanti riforme a favore del mondo del lavoro. I metalmeccanici non si accontentarono della federazione unitaria ma andarono oltre e costituirono un’unica federazione, la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM). Tra i meriti maggiori di quella stagione, il ruolo che il sindacato svolgerà nella sconfitta del terrorismo. La Federazione Unitaria si infrangerà sull’intervento sulla scala mobile per fermare la corsa dell’inflazione (1984).

Gli anni Settanta sono anche quelli della fioritura del femminismo. Pure il Sindacato, tradizionalmente maschilista, è investito con forza dal movimento delle donne. La UIL e le donne della UIL saranno le più impegnate nel sindacato italiano per la vittoria del NO al referendum del 12-13 maggio 1974 sull’abrogazione della legge sul divorzio.

La rottura sulla scala mobile. Il Direttivo Cgil-Cisl-Uil del 7 febbraio 1984 si chiuse senza un accordo unitario sulla possibilità di un’intesa con il Governo Craxi su politiche di raffreddamento dell’inflazione. L’inflazione aveva raggiunto livelli insostenibili, superando il 21% nel 1980, e mantenendosi anche successivamente a livelli elevati. Nel 1984 era ancora vicina all’11%. L’idea di come raffreddarla e difendere il potere d’acquisto dei redditi fissi fu dell’economista Ezio Tarantelli, successivamente assassinato dalle Brigate Rosse, e verteva tra l’altro su un intervento di predeterminazione degli scatti della scala mobile. Il 14 febbraio 1984 il Governo procedette con un decreto sulla scala mobile (Decreto di San Valentino). Lo scontro nel sindacato fu durissimo, con UIL e CISL convinte che la corsa dell’inflazione andasse fermata, e la CGIL indisponibile ad intese con il Governo. La vicenda della Federazione Unitaria risentì della parabola del compromesso storico, politica di avvicinamento del PCI al Governo con la DC, iniziata nel 1973 e conclusa con il ritorno dei comunisti all’opposizione nel 1979. In mezzo, la tragica vicenda di Aldo Moro, assassinato nel 1978. La scelta di Enrico Berlinguer, segretario del PCI, del Referendum del 1985 contro il decreto del Governo sulla scala mobile risentì della voglia di opposizione dura dei comunisti. I NO all’abrogazione della norma prevalsero.

Il convegno UIL del 26 giugno 1984, intitolato “Io pago le tasse. E tu?”, segna l’esordio del tema del fisco nel sindacato italiano. Le culture politiche e sindacali di CGIL e CISL fecero fatica a misurarsi con esso, e per timore di mettere in discussione la funzione redistributiva della fiscalità, a lungo non riuscirono a fare i conti con un sistema che tollerava una grande evasione ed elusione, mettendo così il peso della tassazione in maniera esorbitante sulle spalle del lavoro dipendente. Lentamente, la consapevolezza che la fiscalità è questione strategica ha fatto passi avanti, imprescindibile nel confronto con i Governi. Ancor di più dopo che alle ingiustizie della fiscalità nazionale si è aggiunta quella del fisco locale.

La concertazione 1992-1993. Con il Protocollo del 23 luglio 1993 Governo, Imprenditori e Sindacati praticano la concertazione per offrire un punto di riferimento alla società italiana nella sconvolgente crisi in atto, tanto violenta da portare nell’arco di un anno alla scomparsa di tutti i partiti che avevano governato sino a quel momento. Per la UIL è un momento alto, perché la politica dei redditi è sempre stata una sua ispirazione. Inoltre, la concertazione rende possibile all’Italia centrare gli obiettivi del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992), con il passaggio dalla Comunità Europea all’Unione Europea.

Il sindacato nella “Seconda Repubblica”. Nel 1994 comincia una fase nuova, semi-maggioritaria. Lo scontro con il Governo Berlusconi è inizialmente durissimo (manifestazione nazionale 12 Novembre 1994), ma per la UIL conterà sempre il merito, non pregiudiziali politiche, come invece sarà spesso per la CGIL, il che provocherà numerosi conflitti con UIL e CISL a livello confederale e spesso anche di categoria. Una vicenda emblematica sarà l’accordo con FIAT per il rilancio dello stabilimento di Pomigliano (15 giugno 2010), in cui le coraggiose scelte riformiste dei metalmeccanici di UIL e CISL si scontreranno con le pregiudiziali FIOM e CGIL e troveranno il sedicente riformismo politico defilato quando non ostile. Da quella stessa area verrà successivamente, e paradossalmente, una sfida indifferenziata a tutto il sindacato, all’insegna dell’obiettivo di ridurre il peso dei corpi intermedi, a cominciare dal sindacato (prima parte del Governo di Matteo Renzi, 2014-15).

La grande crisi economica mondiale del 2008. Comincia negli Stati Uniti d'America nel 2007 in seguito allo scoppio di una bolla immobiliare che provoca prima una crisi finanziaria e poi una recessione globale. In Italia, la crisi ha comportato la perdita di un quarto di capacità produttiva. La ripresa dopo la crisi è stata debole in Italia, che ancora non recupera i livelli pre-crisi.

“2014-2017, quattro anni di relazioni industriali”: così un noto giornalista, esperto di sindacale, ha riconosciuto nelle relazioni industriali italiane di questi ultimi anni una vicenda peculiare, con una sua coerenza interna, poi proseguita nel 2018. È la storia di una riscossa del sindacato confederale, con un ruolo rilevantissimo della UIL. Il Governo Renzi aveva teorizzato e praticato l’indebolimento dei corpi intermedi e minacciato di sostituire la legge al contratto su salario e rappresentanza. Lo sciopero generale, proclamato dalla UIL nel corso dello svolgimento del suo XVI Congresso Nazionale, e attuato insieme alla CGIL il 12 dicembre 2014, fu il primo atto di un cammino che ha visto CGIL, CISL, UIL recuperare unità d’azione e raggiungere molti importanti obiettivi concreti: il rinnovo dei contratti di lavoro privati (96 CCNL rinnovati dal 2015, per oltre 9 milioni di lavoratori); la fine, con l’intesa del 30 novembre 2016, del blocco - che era in atto dal 2009 - della contrattazione nel settore pubblico, cui sono seguiti i rinnovi dei contratti (tutti e 4 i CCNL, per 2 milioni e mezzo di lavoratori) e la definizione delle materie per il rilancio della contrattazione di II livello; l’apertura del confronto con il Governo (Renzi prima, Gentiloni poi) sulla previdenza e la modifica della Legge Fornero; l’accordo del 9 marzo 2018 con la Confindustria sulla contrattazione. Accordi non solo difensivi, ma ricchi di contenuti innovativi. A partire dai quali costruire un nuovo ciclo unitario per un nuovo ciclo di conquiste su lavoro, salario, fisco, sicurezza, a livello nazionale ed europeo.

Il referendum costituzionale del 4 dicembre 2017 e le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno fatto dell’Italia uno dei casi emblematici del manifestarsi del malessere sociale che si è evidenziato anche con la Brexit in Gran Bretagna e con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti (2016). Il sindacato ha preparato il confronto con il nuovo governo giallo-verde (Movimento 5 Stelle e Lega) sulla base di una Piattaforma con le priorità di Cgil, Cisl, Uil per la legge di bilancio 2019 (investimenti, lavoro, fisco, Mezzogiorno, pensioni, politiche sociali, welfare, istruzione, pubblica amministrazione). Il 9 febbraio 2019, è stato necessario convocare a Roma una grande manifestazione, che ha visto il ritorno di Cgil, Cisl, Uil nell’impegnativa Piazza San Giovanni, stracolma di persone per l’occasione, a sostegno delle proposte comuni, per smuovere il governo e indurlo ad aprire finalmente un confronto serio di merito con il sindacato.

 

 

 

 

 

 

 

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