Attivo Cgil, Cisl, Uil Abruzzo sull'industria

la relazione di Roberto Campo

UIL Abruzzo
25/02/1992
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Attivo unitario regionale sull'IndustriaATTIVO CGIL CISL UIL REGIONALI SULL'I N D U S T R I A
Relazione di Roberto Campo
L'Aquila, 25 febbraio 1992 

Questo convegno sull'industria fa parte di una serie di tre iniziative di approfondimento a supporto della vertenza aperta da CGIL, CISL e UIL nei confronti della Regione e delle controparti imprenditoriali pubbliche e private. 

Ricordo brevemente l'impostazione della vertenza ed il suo andamento, dall'assemblea del 4 febbraio a Pescara alla riunione degli Esecutivi unitari di giovedì scorso, 20 febbraio. CGIL, CISL e UIL hanno a suo tempo costruito una piattaforma ampia, in cui sono contenute rivendicazioni, indicazioni e proposte per affrontare i problemi della società abruzzese in questa importante fase che prelude, tra l'altro, a decisivi avanzamenti dell'integrazione europea. 

I principali interlocutori e le controparti individuati non hanno però mai avviato un vero confronto con il Sindacato, sfuggendo la discussione sistematica dei problemi. Le relazioni con la Regione, per esempio, sono rimaste episodiche ed inconcludenti nonostante la sottoscrizione di un protocollo bilaterale che avrebbe dovuto finalmente dare. regole certe e continuità al confronto. Non solo lo spirito, ma anche la lettera di quei documento sono stati subito disattesi, come se i responsabili dei potere politico regionale avessero valutato che i Sindacati si sarebbero accontentati di riconoscimenti di carta, senza pretenderne la traduzione comportamenti conseguenti. Anche quando la Regione mostra di convenire con noi su alcune proposte, spesso queste non conservano una posizione di priorità all'atto decisivo delle scelte di bilancio.La vertenza è stata una reazione contro questa doppiezza. Pur avendo noi investito anche le controparti imprenditoriali, di cui diremo in seguito, la Regione ha costituito il riferimento fondamentale della vertenza: ad essa sono rivolte le tre priorità che abbiamo indicato, sulla riforma dell'Ente Regione, sull'industria e sulla sanità. Le priorità che sono state scelte non significano il sacrificio della complessità della piattaforma a vantaggio di pochi punti, sa devono misurare se finalmente si produce una svolta nei comportamenti effettivi della Regione, non solo attraverso dichiarazioni di intenti più o meno soddisfacenti, ma inaugurando un sano rapporto tra il dire ed il fare. 

La dichiarazione dello sciopero regionale per il 6 marzo è stata proficuamente gestita da CGIL, CISL e UIL ed ha prodotto 4 accordi con altrettanti Assessori, contenenti impegni, in parte ancora vaghi, ma in parte anche precisi e calendarizzati per date ravvicinate. 

Più "tradizionale", e quindi molto meno convincente, l'incontro con la Presidenza della Giunta, che però ha confermato quanto concordato dagli Assessori, promettendo copertura finanziaria per la realizzazione degli obiettivi. Anche qui, nel riferirne, dobbiamo mettere contemporaneamente in risalto da un lato che il Presidente si è impegnato, dall'altro lato, che non lo ha fatto con un vero programma operativo, ma attraverso dichiarazioni generiche. 

Al punto in cui siamo, i diversi temi su cui gli Assessori hanno garantito iniziative possono diventare gli ingredienti di una svolta così come la situazione può nuovamente regredire allo stato di prima della vertenza. Quello che però è chiaro è che noi dobbiamo adeguare l'iniziativa rispetto ad una fase obiettivamente diversa della vertenza: non siamo più né alla totale mancanza di relazioni né a discussioni solo sulle regole che dovrebbero governare questi rapporti; siamo invece davanti a 4 accordi (più alcuni impegni della Presidenza) composti di parti di diseguale valore ma attinenti già al merito di problemi che abbiamo ritenuto prioritari. 

Così come la minaccia di sciopero ha ridestato la Regione, dobbiamo mantenere un carattere negoziale, aggressivo e continuativo alla nostra iniziativa, rendendo quindi sempre credibile l'azione dello sciopero se (non sarebbe la prima volta) dal fitto interscambio di questi giorni si tornasse indietro all'andazzo contro il quale abbiamo reagito proprio a partire dall'assemblea del 4 febbraio. Tanto più che alcuni degli impegni della Regione vengono a scadenza già nei prossimi mesi. 

L'assemblea di oggi è quindi un momento di questa iniziativa confederale regionale. Deve però anche essere la sede di una discussione più generale sul settore industria, sull'attuale crisi e sulle risposte da costruire ad essa. Il 27 gennaio scorso, CGIL, CISL, UIL nazionali hanno aperto questo dibattito, che si svolge in un quadro di crescenti difficoltà, ed hanno approvato un documento con proposte di politica industriale, chiedendo l'incontro con il Governo. 

Richiamo per punti alcuni elementi di analisi della crisi industriale in corso. Non dobbiamo considerarne solo gli aspetti quantitativi, peraltro rilevanti. Non c'è dubbio che vi sia una recessione marcata, che in Italia è cominciata prima che sul piano internazionale e che rischia di non essere tutta riassorbita dalla ripresa, quando questa verrà. 

Ci sono diversi aspetti da considerare:

- c'è una caduta di autonomia tecnologica da parte della nostra industria rispetto ai concorrenti europei e mondiali. L'Italia esporta sostanzialmente gli stessi prodotti di 15 anni fa: c'è poco "made in Italy" tra i nuovi prodotti. Anzi la quota di esportazioni italiane in prodotti tecnologicamente avanzati, che già era molto bassa, è diminuita negli ultimi anni. 

Si tratta quindi di una crisi diversa da quella precedente, quando la ristrutturazione dell'industria è stata impostata sul recupero di efficienza e produttività. L'esempio classico è la FIAT di dopo l'80, con da un lato là diminuzione dei dipendenti del 40% e dall'altro latO gli indici di produttività che salirono enormemente: dalle 19 auto medie a dipendente prodotte nel 1979 è passati alle circa 30 a fine decennio ... Questa volta invece l'aspetto prevalente non è l'efficienza, non c'entrano le prestazioni: è soprattutto una crisi del prodotto; 

- sono in crisi al momento quasi tutti i grandi gruppi, sa anche la piccola e media impresa che compete con la concorrenza estera. Il "piccolo è bello" flessibile, spesso sommerso, ~~asi sempre antisir1dacale, non è affatto vincente questa volta. le piccole imprese soffrono gli stessi problemi dei grandi, con in più l'aggravante che sono piccole, con meno risorse per l'innovazione e meno facile accesso al potere politico rispetto, per esempio, ad una Olivetti; 

- l'industria italiana perde alcuni punti di eccellenza che aveva, nel senso che la meccanica in cui primeggiava perde progressivamente peso a vantaggio dell'elettronica, dove non siamo granché forti. E' significativo tra l'altro come siano scese nella classifica delle prime 500 imprese europee: la FIAT (dal l3° al 53° posto), la Olivetti (dal l78° posto al 356° posto) e la Pirelli (dal 257° al 362° posto); 

- le aziende stanno reagendo alla crisi prevalentemente tagliando per risparmiare sui costi, con ciò diventando ancora più piccole. Molte imprese la prima cosa che tagliano è la spesa per la ricerca. Non sembrano muoversi con respiro strategico, ma badano solo all'immediato, al brevissimo termine, anche a costo di compromettere la prospettiva; 

- abbiamo relazioni industriali vecchie. A livello del Paese, come dimostra il comportamento di Confindustria e Governo nella trattativa "di giugno"; a livello dei luoghi di lavoro, come dimostra il dato propagandistico cui rischiano di rimanere la Qualità Totale e la "fabbrica snella". Mancano vere scelte conseguenti, soprattutto nelle realtà, e sono tante, in cui continuano ad esserci troppe figure gerarchiche tradizionali; 

— questa crisi coinvolge in misura notevole il settore impiegatizio, poco toccato dalla crisi precedente. 

Questi sommari "flash" sulla crisi industriale non vogliono assolutamente dare spazio ai discutibili giochi di parole che sono stati fatti su "costo" e "posto" di lavoro, immeritatamente applauditi come arguti. Si tratta, al contrario, di rovesciare l'impostazione della Confindustria che ha cercato di ridurre la politica dei redditi al costo del lavoro e questo alla scala mobile, sottolineando invece come la competizione da costi non possa essere retta dalla nostra industria se questa non punta ad un posizionamento su fasce più alte di mercato, offrendo prodotti migliori, non solo economici; più tecnologicamente avanzati, non solo "maturi". 

Il pessimismo che è giusto esprimere considerando le difficoltà di un percorso di uscita da questa situazione non deve quindi essere scambiato per acquiescenza al ricatto di chi vuole invece proprio il perpetuarsi di questa situazione 

Dalla crisi degli anni '70 si è venuti fuori indebolendo le relazioni sindacali e senza una politica industriale, anzi, manifestando insofferenza contro qualsiasi vincolo ai liberi movimenti dell'impresa. Dalla crisi attuale, invece, non usciremo se non con una politica industriale, perché per avere ricerca, innovazione, formazione professionale etc non basta che si adegui l'impresa. E' necessario che il Paese complessivamente sia adeguato. 

Non è vera la semplificazione secondo cui l'industria italiana è pronta per l'Europa, frenata solo dall'inefficienza della pubblica amministrazione. Non basta proporsi di correggere le due grandi anomalie nazionali dell'inflazione e del debito pubblico. Insieme con una politica economica rigorosa ed equa, ci vuole finalmente una politica industriale non più limitata solo ai due strumenti cui si è ridotta nel decennio scorso: incentivi ed ammortizzatori sociali. 

Se riusciremo a sconfiggere l'attuale posizione della Confindustria, inoltre, si aprirà uno spazio in favore di scelte di partecipazione, su una linea che non considererà contraddittori una nuova stagione di sviluppo e più avanzate relazioni industriali. 

Le proposte di CGIL, CISL, UIL nello specifico della politica industriale partono dalla consapevolezza che la situazione non può essere affrontata soltanto con misure di emergenza e con gli ammortizzatori sociali. Vi sono quindi una serie di indicazioni strategiche, di cui la più importante è quella di trasferire alle Regioni gran parte delle competenze di politica industriale, attuando il decentramento sul serio, anche delle risorse per costruire un ambiente favorevole alla crescita, aiutando l'innovazione non più solo del processo produttivo, ma anche del prodotto, favorendo riconversioni ed ingressi nei settori innovativi. 

E poi ancora: modifiche strutturali al sistema degli incentivi, anche in coerenza con. l'impostazione CEE, che comunque diventerà ineludibile; grande riforma delle Partecipazioni Statali, con anche parziali privatizzazioni, ma non affatto loro tramonto, se mai, ritorno alle ispirazioni originarie, che ne fanno uno strumento insostituibile di politica industriale per perseguire gli obiettivi di sviluppo tecnologico, sviluppo del Mezzogiorno ed internazionalizzazione; rilancio della GEPI; attuazione della legge 317 per il sostegno all'innovazione tecnologica nelle piccole imprese etc. 

Intanto, però, si tratta anche di fronteggiare l'emergenza. In particolare si propongono modifiche alla nuova legge sulla cassa integrazione, la 223, non per farne uno strumento assistenziale invece che di politica attiva del mercato del lavoro, ma per ripristinarne il significato nel senso originariamente voluto dal legislatore, impedendone l'uso come via per procedere ai licenziamenti di massa. Chiediamo l'estensione della 223 alle imprese sotto i 16 dipendenti e modifiche alle scadenze delle vecchie CIGS, 

Oltre ai problemi individuati nel documento nazionale, segnaliamo la necessità di intervenire per garantire l'efficacia della norma che prevede la riserva del 12% delle nuove assunzioni a vantaggio dei lavoratori nella lista di mobilità. L'interpretazione secondo cui tale riserva non scatterebbe in caso di assunzioni fatte con i CFL può produrre situazioni paradossali: se, per fare un esempio abruzzese, la ACM, settore auto, a due passi dalla Sevel, dovesse fallire e licenziare i 280 lavoratori, questi non potrebbero sperare in nessuna mobilità verso la Sevel, praticamente dello stesso settore, e che farà centinaia di assunzioni con i contratti di formazione e lavoro, o verso la IRMA, settore auto anch'essa, e che farà a sua volta 250 assunzioni, presumibilmente in CFL. 

E questo in un caso in cui non si dovrebbero nemmeno mettere su complicate riqualificazioni professionali! Comunque questo problema dovrà essere oggetto di confronto con gli imprenditori, anche se secondo noi ci sarebbe pure da armonizzare diversamente le leggi. 

Se no, si riduce notevolmente anche il valore dell'elevazione di questa riserva dal 12% al 20%, che la stessa 223 prevede possa essere decisa dalla Commissione Regionale per l'Impiego a fronte di indici di disoccupazione zonali superiori alla media nazionale. Le due realtà che per prime dovrebbero essere nella condizione prevista dalla legge per questo provvedimento sono Chieti/circoscrizione e Castel di Sangro. Siamo così entrati nel discorso sull'Abruzzo ... 

La crisi in Abruzzo si presenta diffusa. Il problema è valutarne la profondità. I dati assoluti possono ingannare. In linea generale, è vero senz'altro che stiamo vivendo un momento molto delicato. 

L'Abruzzo ha avuto una crescita sostenuta negli anni '80, a partire dal 1984 in particolare, con una fase intensissima tra l'87 e l'89. 

L'economia complessivamente è cresciuta sopra le medie nazionali, recuperando terreno rispetto a diversi standard del Paese. 

Ancora nel '90, l'Abruzzo aveva il primato nazionale dei nuovi insediamenti industriali a fronte del minor numero di fallimenti aziendali. 

A maggior ragione ancora che per l'Italia, vale per ~ il rammarico per come non si sia utilizzata una così lunga ed impetuosa crescita per affrontare i problemi strutturali che oggi tornano ineludibili, aggravati dalla contingenza sfavorevole. Nel 1991 l'occupazione ha smesso di crescere e la crisi industriale si è fatta evidente. Soffrono di più al momento le realtà medio—grandi. Secondo il CRESA, per esempio, la provincia di Chieti, sede prevalente di industria medio-grande, ha un andamento piuttosto debole, mentre la provincia di Teramo in qualche modo tiene. Tiene, in sostanza, la piccola impresa, di cui Teramo è indiscussa capitale, se si pensa che è la prima realtà industriale d'Abruzzo per numero di imprese e per addetti, pur non potendo vantare i grandi nomi di CHIETI: Sevel, Siv, Marelli; di L'AQUILA: Italtel, Alenia, Fiat e Texas; di Pescara, persino: Fater, Ausimont, Roman Style. Tiene, attenzione, la piccola impresa non orientata verso i mercati internazionali. Questo dato sembra confermare la valutazione di CGIL, CISL, UIL nazionali secondo cui al momento sono le realtà industriali che si confrontano con la concorrenza internazionale, siano esse grandi o piccole imprese, che stanno incontrando le maggiori difficoltà. 

Ma il fatto che la crisi abbia ad oggi interessato maggiormente l'impresa abruzzese con raggio d'azione non limitatamente locale non vuole affatto dire che in prospettiva anche ravvicinata i problemi non riguarderanno parte delle aziende che lavorano per il mercato intermedio piuttosto che per quello finale, a cominciare dal tessile abbigliamento. Ecco una ragione di più per non leggere superficialmente i dati della crisi, a cominciare dal numero di ore di cassa integrazione. Una SEVEL che ricorre per qualche giorno alla cassa altera notevolmente i dati quantitativi, ma si tratta di una realtà alla vigilia di ulteriori programmi di ampliamento che probabilmente si presenterà forte al momento della ripresa. Ben altro significato hanno invece i ricorsi alla cassa, magari meno visibili, da parte di aziende che è non affatto detto che "guariranno" quando ci sarà la ripresa della domanda. 

Ciò detto, l'incremento delle ore di cassa integrazione è consistente: nel '91 se ne è utilizzata il 31% in più rispetto al '90, e la tendenza dei primi mesi del '92 è ancora all'incremento. Inoltre, va rilevata la vasta diffusione del ricorso alla cassa: proprio perché si sommano difficoltà congiunturali con problemi più seri, la mappa delle aziende che sta usando la CIG ordinaria è molto estesa. La straordinaria è invece al momento stazionaria. Ma se leggiamo questo dato considerando la crisi acuta segnalata dalla cassa ordinaria, (e ricordando che con la legge 223 la cassa straordinaria non riassorbita si travasa successivamente nelle liste di mobilità), dobbiamo realisticamente valutare che la prospettiva nel prossimo futuro è quella di un consistente numero di lavoratori progressivamente privati dell'aggancio cori un'azienda. Alla fine del 3 trimestre del '91, in cassa integrazione straordinaria in Abruzzo c'erano ben 5.752 lavoratori, molti di lunga durata. Per quanto riguarda la lista di mobilità, ad oggi visono confluiti: 

l. lavoratori di aziende fallite, tra cui il calzaturificio Zulli, la Indusnova e le tre aziende del cosiddetto gruppo Pinelli (Omcav, Sts, Pv); 

2. lavoratori si aziende chiuse per cessata attività come quelli della Dreher, positivamente recuperati dall'accordo fatto con la San Benedetto, e quelli della Mercurio di Montesilvano, una delle tessere saltate del mosaico a rischio del settore tessile-abbigliamento; 

3. i lavoratori che si trovavano nelle liste della disoccupazione speciale quando è subentrata la nuova legge 223. 

Complessivamente, 1327 lavoratori sono già nella lista di mobilità. La prossima seduta della Commissione Regionale per l'Impiego, che avrebbe dovuto tenersi proprio oggi, aggiornerà questi dati, destinati comunque, come ho detto, ad incrementi consistenti anche per gli effetti delle vecchie casse straordinarie in scadenza. La lista di mobilità a sua volta andrà letta come parte del dato di disoccupazione, anch'esso cresciuto nel '91 come testimonia l'Ufficio Regionale del Lavoro, che calcola i disoccupati a quasi 94.000, di cui quasi 50.000 sono quelli che hanno perso un precedente posto di lavoro e più di 40.000 sono quelli in cerca di prima occupazione. 

Una pur superficiale panoramica delle diverse situazioni presenti in Abruzzo può esserci utile ai fini di una valutazione che colga sia gli aspetti comuni alle varie realtà che le diversità. Non dobbiamo confondere in uno stesso ammasso quantitativo casi qualitativamente distanti. Ci sono ricorsi alla CIG quasi ovunque, ma le crisi di Alenia Industria, Marelli, Siv, Alcatel Dial Face, Iac, Spea, non sono solo congiunturali come altre. E va inoltre operata una distinzione tra ridimensionamenti puri e semplici e ristrutturazioni—riconversioni, tra assenza e presenza di prospettive. 

Il cosiddetto polo elettronico dell'Aquila e della Marsica, per esempio, presenta situazioni molto differenziate. Sono indubbie le potenzialità di una concentrazione così significativa di aziende di un settore strategico tanto importante. 

E' anche vero però che un polo non è fatto solo di una certa quantità di unità, ma può nascere se si crea un sistema di interazioni con l'ambiente circostante, per esempio in termini di formazione e ricerca. Al momento, la prospettiva positiva del polo tecnologico convive con situazioni di criticità e con delusioni, come la mancata realizzazione da parte di Alenia Spazio, del Centro Integrazione Satelliti. 

Per intanto, va valutata tutta la portata del ciclo decennale di ristrutturazioni e riconversioni che ha interessato l'ITALTEL, che ha superato la sua condizione di azienda solo elettromeccanica e monoprodotto per riconvertirsi in elettronica, diventando una azienda con più prodotti, in particolare di trasmissione, nicchia di mercato europea in cui deve saper vincere la sua sfida. Questa articolazione su più prodotti rende l'Italtel un po' meno esposta alla crisi di questo o quel singolo prodotto. Il saldo occupazionale a fine decennio è però praticamente della metà in meno, perché passiamo dai 5.000 occupati del 1980 agli attuali 2.900, con però 300 nuove assunzioni di giovani specializzati. 

Per quanto riguarda le due Alenia, nate dallo scorporo di Italtel, ALENIA SPAZIO occupa 250 persone invece delle 800 inizialmente previste; ALENIA INDUSTRIA, che ha più di 300 lavoratori, attraversa una fase delicatissima perché deve effettuare la riconversione, abbandonando le produzioni militari che faceva. L'ipotesi di una divisione al 50% circa delle attuali maestranze tra una produzione di microfusioni, per la quale manca al momento la tecnologia, ed una di meccanica è ancora tutta da verificare e da costruire. 

Anche nel caso della ALCATEL DIAL FACE di Avezzano ci vuole una grande capacità di valutazione del piano presentato la scorsa settimana a Milano. Finalmente un piano, verrebbe da dire considerando che si parla di investimenti, con 2 miliardi e 600 milioni destinati ad Avezzano. Ma la missione produttiva dello stabilimento, costruita principalmente sugli apparecchi QUARK, telefono senza centralina, ma anche, al momento, senza volumi di mercato, e sul telefono senza fili CORDLESS, anch'esso difficilmente valutabile in termini di volumi di mercato, lascia molti dubbi sulla solidità della prospettiva. Inoltre, c'è una pesantissima indicazione di esuberi strutturali: ben 82 lavoratori sui 258 attuali. Acquisito dai Sindacati il piano, il piano, il confronto vero comincerà a marzo. 

Qualche perplessità esprimiamo a proposito della TEXAS INSTRUMENTS, soprattutto considerando l'entità dell'investimento (1.000 miliardi raffrontata con il prodotto, buono ma non dell'altro mondo, e con l'occupazione creata, più di 600 lavoratori oggi, ma siamo ancora ben lontani dalle dichiarazioni di partenza. 

Ricordiamo anche, tra le aziende elettroniche, la OPTIMES, nata anch'essa da uno scorporo Italtel, che occupa 150 persone e che sta sviluppandosi positivamente, e la MAEL. Per completare il sommario panorama aquilano, ricordiamo infine che è in costruzione la DOMPE', farmaceutica, che andrà ad affiancare nel settore l'altra rilevante azienda, la HOECHST, che occupa 500 lavoratori e che si muove a livelli tecnologicamente avanzati. Parzialmente deludente rispetto alle premesse la RHONE POULENC, che occupa un po' meno di 100 dipendenti e che opera nel settore dei fertilizzanti. In ripresa la VIFAN, circa 200 dipendenti, settore gomma e plastica, dopo una parentesi di incertezza. 

A Sulmona, la maggior parte delle aziende sta facendo cassa integrazione, con poche eccezioni positive, come la ERIKSSON, la CRODO, la IMET. Anche qui, bisogna distinguere la natura dei problemi che stanno vivendo le diverse realtà. 

La FIAT ha fatto un investimento ingentissimo, 600 miliardi, il secondo per grandezza dopo quello della TEXAS, per consolidare lo stabilimento come polo nazionale delle sospensioni, mentre la NUOVA SAMIM, che occupa circa 220 persone, ha problemi strutturali di rilievo, anche di esubero del personale. Essendo la Nuova Samin il più grande stabilimento produttivo ENI d'Abruzzo, la Regione non può rimanere distratta dal problema, soprattutto considerando le voci di privatizzazione che circolano. 

La zona interna, dunque, presenta da un lato le importanti aziende elettroniche pubbliche e private, di cui dobbiamo favorire l'evoluzione verso il polo tecnologico, mentre dall'altro lato la valle Peligna soffre una crisi di sviluppo. 

La seconda realtà della Valle dopo la FIAT è infatti la fabbrica che non c'è più, che lascia ancora oggi più di 500 persone in cassa integrazione straordinaria, e di cui parleremo più dettagliatamente dopo. 

La fascia costiera ha invece, come è noto, una caratterizzazione dualistica tra il sud, sede prevalente di stabilimenti di origine extra regionale e di dimensioni medio-grandi ed il nord, terra della piccola impresa locale. Al centro, la Val Pescara, con ombre e luci, le prime in vantaggio sulle seconde, 

Il vastese sta conoscendo un ridimensionamento occupazionale: alla SIV ed alla Mareili lavoreranno nel prossimo futuro meno persone. La SIV ha bisogno di investimenti, sia che rimanga EFIM, sia che abbia un domani un altro destino. E invece, il grado di internazionalizzazione della SIV è addirittura regredito, quando invece un suo avanzamento rimane un'esigenza imprescindihile. Il rifacimento del forno float è in ritardo e rischia di far arrivare l'azienda impreparata quando la ripresa dei mercati, dell'auto e dell'edilizia, si manifesterà. La ricerca è in ritardo. Secondo la Direzione, sono necessari ben 479 prepensionamenti, con il che l'organico scenderebbe sotto i 2.400 lavoratori. Al dato negativo del ridimensionamento, si sommaa quello della mancanza di chiare strategie di rilancio. Anche alla MAGNETI MARELLI la crisi è sia congiunturale che più profonda. Il gruppo dedica alla ricerca percentuali di risorse in rapporto al fatturato simili a quelle dei maggiori concorrenti, ma le dimensioni assolute fanno la differenza in un settore come quello della componentistica cui i concorrenti si chiamano BOSCH, BENDIX, VALEO etc, ed in cui i produttori sono troppi in prospettiva, ma, paradossalmente, invece di diminuire, continuano ad aumentare perché alcune case automobilistiche avevano la propria componentistica ad esclusivo uso interno, ora la aprono all'esterno. A San Salvo è in corso la cassa integrazione straordinaria per 92 lavoratori, con garanzia di rientro almeno entro due anni dell'accordo di ristrutturazione. Nei prossimi giorni si realizzeranno alcuni rientri anticipati dalla cassa integrazione, altri ne verranno in seguito, legati all'ampliarsi dell'attività di ricerca a San Salvo, fatto estremamente positivo, insieme con i nuovi investimenti (più di 18 miliardi), anche se la strada per una vera uscita dalla crisi è ancora lunga. 

I primi ricorsi alla cassa integrazione dopo quasi 8 anni da parte della SEVEL non paiono particolarmente preoccupanti. Il veicolo commerciale è un prodotto sensibilissimo alle condizioni complessive dell'economia, e risente ovviamente, della recessione. Però, la discesa del mercato l'hanno pagata sin qui più i concorrenti che non il Ducato. Parte quest'anno la ristrutturazione che aumenterà ulteriormente la capacità produttiva e notevolmente anche l'occupazione. La SEVEL occupa oggi circa 3.300 lavoratori, e dovrebbe arrivare a quota 4.000 e più. Tra un paio d'anni, inoltre, verrà prodotto il nuovo modello. Da segnalare anche che con l'ingresso realizzato negli anni scorsi della Sevel nella contrattazione FIAT, sono ora stati estesi alla Sevel importanti accordi di partecipazione del gruppo FIAT Auto. 

Per la HONDA Italia invece il '92 sarà ancora un anno difficile. Il motociclo 125 è un prodotto in declino: se ne vende sempre meno. Lo stabilimento Honda è sopravvissuto nel corso del tempo probabilmente anche per la vera importanza strategica, ma è già da tanto che il Sindacato sostiene che i volumi lavorati sono insufficienti per tirar fuori un prodotto remunerativo. La Honda Europa si è impegnata a trasferire ad Atessa io scooter dal Belgio ed altre lavorazioni (motori etc). Ciò consentirà il passaggio dal solo turno giornaliero ai due turni e di impostare finalmente un rilancio di questa fabbrica importante, una delle più attive, per esempio, nel formare un indotto. 

Il punto di crisi più grave in Val di Sangro è rappresentato dalla ACM che ha, al momento, più possibilità di non riprendersi che di farcela. 

Negative anche le conseguenze che provocherebbe la realizzazione della ristrutturazione della ELF, settore petrolifero, così come prospettata dal gruppo. Il porto di Ortona, già travagliato da crisi di diversa gravità dei cantieri Micoperi e Romiti, perderebbe 1/3 dell'attuale volume di traffico. 

Non mancano, però, movimenti positivi all'orizzonte, anche se c'è una situazione meno promettente che non qualche anno fa. Le maggiori opportunità occupazionali verranno dalla Sevel, come detto, dalla CHICCO ARTSANA, che aprirà uno stabilimento per circa 400 posti di lavoro, e dalla IRMA, che aprirà una fabbrica che occuperà più di 250 persone. 

Nella Val Pescara complessivamente intesa non mancano storie di sviluppo, ma molte sono anche le situazioni di crisi o, quantomeno, stagnanti. 

Per una delle realtà tecnologicamente più pregiate, la ALCATEL TELETTRA, notizie non entusiasmanti, anche se Chieti nel gruppo non occupa la posizione peggiore. E' chiaro ormai che la TELETTRA ha dato all'Alcatel più di quanto non abbia sin qui ricevuto, consentendo ai francesi di maturare altre aziende del gruppo, come la PACE, attraverso il prosciugamento di parte dell'indotto Telettra, e ritrovandosi poi a sua volta un esubero che la Direzione ha quantificato in 350 lavoratori a livello complessivo nazionale, cui fare fronte con strumenti come il blocco del turnover, i prepensionamenti, etc. 

Positivo però per Chieti sia l'essere destinataria della produzione dei ponti radio di piccola capacità, prodotto in cui Telettra ed Alcatel sono eccellenti, sia la presenza di. un forte nucleo di ricerca, con i 150 lavoratori addetti al Progetto Elasis. In declino, invece, la produzione per i sistemi difesa. 

Per restare in tema di multinazionali, ho già accennato alla vicenda della Heineken/Dreher, esempio significativo della quantità e della lontananza delle sedi in cui si assumono decisioni rilevanti per la nostra realtà. In Abruzzo operano aziende che hanno - del tutto o in parte - la testa in diversi Paesi: Francia, Germania, USA, Giappone, Norvegia, Svezia, Gran Bretagna etc, con cui la Regione non riesce ad avere un confronto. Non solo. Anche con gruppi nazionali come per esempio la Fiat, che in Abruzzo occupa più di 6.500 persone, la Regione non ha un livello di rapporto. Veramente, non riesce ad avercelo nemmeno tanto con EFIM, IRI ed ENI ... E' uno dei problemi più grossi da affrontare se vogliamo impostare una politica industriale regionale. Comunque, tornando alla Heineken/Dreher, l'accordo con la San Benedetto ha positivamente recuperato uno sbocco occupazionale per i lavoratori licenziati dalla multinazionale olandese. A regime, la San Benedetto occuperà almeno 150 persone. Molto difficile invece dare una risposta alla crisi IAC, la camiceria dove lavorano circa 530 persone che ha intenzione di fare 271 licenziamenti. Ne parleremo ancora a proposito del tessile-abbigliamento. Intanto, voglio sottolineare, nella disgrazia, un elemento positivo costituito dall'insistenza del Sindacato per l'adozione, tra gli altri strumenti, dei contratti di solidarietà, una delle carte da giocare per impedire un uso della 223 come legge dei licenziamenti. 

Ma la Val Pescara presenta anche una serie di aziende positive come la CIR (la Cartiera), la RICHARD GINORI, la FAR/NECA, la SAR, la FAMECCANICA, la FATER, la ROMAN STYLE; altre che tengono, (pur se non senza problemi), come la AUSIMONT e le PIRELLI. Eppure, il tono dell'asse è complessivamente preoccupante, perché il tessuto delle piccole e medie imprese si strappa spesso, come ci ricordano per ultimi i casi della MERCURIO e della ANTEO, e perché crisi come quelle della IAC appunto, o della Dreher, mettono in evidenza che si fatica a costruire prospettive espansive, mentre facilmente possono aprirsi improvvise regressioni. 

Il problema è anzitutto di identità di questa estensione interprovinciale Chieti—Pescara-Teramo (perché anche Silvi gravita in questo senso), mitizzata come a vocazione terziaria, ma che ha evidenti carenze soprattutto riguardo i servizi avanzati per le imprese, cultura che non si inventa senza un rapporto con il mondo delle aziende. 

Dall'altro lato, infatti, il problema è proprio quello della qualificazione delle piccole e medie imprese abruzzesi. Entrambi i corni del problema devono essere temi della politica regionale. 

Per quanto riguarda le piccole imprese ed il loro peso, si consideri che la trentina circa di aziende che sono state nominate sin qui occupano complessivamente più di 20.000 lavoratori. Per il resto, oltre a 10.000 dipendenti di altre aziende medio—grandi, ci sono 100,000 lavoratori nelle cosiddette piccole imprese. La quantità maggiore in provincia di Teramo. 

Nel teramano, le difficoltà vanno accentuandosi, perché da un lato l'anno si è aperto malissimo prima con i 90 licenziamenti della Ferrocemento, ed adesso con i problemi che sta attraversando la SPEA, che occupa quasi 400 lavoratori, e la cui crisi non è solo congiunturale. Dall'altro lato, la piccola impresa locale, che ancora non ha impressionato le statistiche di cui parlavo prima a proposito della situazione globale dell'Abruzzo, rischia processi estesi di vera e propria deindustrializzazione, soprattutto nel tessile-abbigliamento e soprattutto tra i façonisti. 

Per dare un'idea della dimensione della questione, si consideri che circa 1/3 delle imprese abruzzesi appartiene ai settore tessile-abbigliamento più di 1/3 se ragioniamo sull'intero sistema—moda, includendo pelli e calzature. Il 50% del tessile-abbigliamento del meridione è concentrato tra Teramo, Bari e Napoli, con dati significativi anche a Pescara e Chieti. E', per l'Abruzzo, una questione di primaria importanza. 

Il problema del tessile—abbigliamento è semplice da definire, difficile da risolvere. Le produzioni a basso valore aggiunto si spostano fuori dai Paesi industrializzati come il nostro, verso ]'Est Asia prima, verso l'Est Europa ed il Nord Africa adesso. O si fa il "salto di qualità" verso produzioni con un maggiore valore aggiunto, o ci si intestardisce in una competizione sui bassi costi per cui gli spazi si riducono sempre più. 

Siamo ad un bivio per il settore, con da una parte la prospettiva di allungare il rosario delle crisi: VETA, VELA, COVER, NEW TEX, MONTI, ALBATROSS, IAC, EUROCOMPANY, MERCURIO, etc; dall'altra parte, il tentativo di far emergere dal sommerso queste attività e di far loro abbandonare le produzioni da quattro soldi per produzioni progressivamente più qualificate. 

L'altra realtà oltre a quella della piccola impresa locale che richiama con forza l'esigenza che vi sia una politica industriale è la Valle Peligna. La vertenza della Valle Peligna è nata dalla constatazione sia della povertà che della ricchezza di quella realtà: da un lato, un tasso di disoccupazione superiore ed un reddito pro capite inferiore rispetto al resto dell'Abruzzo; un apparato industriale rimasto in 15 anni sostanzialmente lo stesso; 530 lavoratori provenienti dalla ex ACE-SIEMENS in cassa integrazione straordinaria con la GEPI e nessun reimpiego realizzato. Dall'altro lato, la vicinanza con il Polo elettronico-informatico, la presenza di grandi gruppi: Fiat, ENI (con la Nuova Samim) ed Eriksson, oltre alla stessa GEPI, che avrebbe potuto svolgere un ruolo straordinario se solo avesse provato a fare davvero della promozione industriale. 

Il rilancio della mobilitazione per una soluzione della lunga vertenza, e per scongiurarne invece la pura e semplice fine per fuoriuscita dai termini di copertura della 223, ha prodotto qualche primo risultato: circa 120 posti di lavoro in una attività farmaceutica ripescata per i capelli da un dirottamento sull'Umbria ed altri 25 posti in una produzione di coltelleria. Considerando i 270 prepensionamenti possibili, si tratta di una riduzione dell'entità del problema, non certo ancora di una sua soluzione, che bisogna invece continuare a perseguire. 

Ma la vertenza ha avuto anche due significati di portata più generale: da un lato ha riproposto con forza la questione del riequilibrio territoriale. E' amaro riconoscere che anni di forte sviluppo dell'Abruzzo non hanno visto nemmeno il riassorbimento della vecchia ferita lasciata dalla dismissione dell'ACE—SIEMENS figuriamoci un più complessivo e complesso riequilibrio! 

Andiamo verso anni in cui i capitali saranno meno facilmente reperibili che non nel decennio trascorso ed in cui la quantità di insediamenti industriali nuovi, provenienti da fuori Regione, sarà probabilmente minore. Ma dobbiamo costruire una politica che non rinvii ad un secondo momento il riequilibrio territoriale, ma che abbia questa scelta tra i suoi assi fondamentali. 

Il secondo grande merito di questa vertenza è stato proprio l'aver indicato la strada della promozione industriale come compito e ruolo della Regione, strada che sul piano più generale ci proponiamo appunto oggi di rendere strumento centrale di politica industriale. 

L'istituzione della sede regionale della GEPI è venuta positivamente a coincidere con questo dibattito. La storia della GEPI in Abruzzo ha conosciuto due fasi: la prima, contraddistinta da successi come l'operazione FARAD, oggi NECA, e da insuccessi, come tutta la vicenda MONTI e figliazioni. La seconda, legata alla Valle Peligna soprattutto, dalla vittoria difensiva ottenuta con il suo ingresso nella vicenda Chromolit-Farmochimica, alla delusione originata dalla conduzione apatica del problema. La terza fase potrebbe proprio essere appena cominciata, spinta ancora dalla vertenza della Valle Peligna verso esiti di interesse più generale. 

La GEPI, infatti, potrebbe rappresentare un pezzo decisivo di una svolta se funzionasse come "fertilizzatore" industriale. Il suo ruolo tradizionale è in ogni caso da rivedere profondamente, soprattutto alla luce della 223. Pensiamo alla trasformazione della GEPI in soggetto permanente della politica industriale regionale, che si occupa non solo dei "suoi" lavoratori da ricollocare ma che provoca occasioni per nuovi insediamenti ed iniziative di autoimpiego di lavoratori della lista di mobilità, oltre a favorire, sull'esistente apparato industriale, l'incontro della domanda delle imprese e dell'offerta di lavoro (non solo dei proprio cassa—integrati), o la modifica della caratteristiche dell'offerta stessa attraverso la formazione professionale. Potrebbe essere un elemento prezioso nel passaggio da una politica industriale, tale solo di nome ma ridotta nei fatti all'erogazione di incentivi, ad una vera politica che orienta, crea condizioni, indirizza, anche territorialmente. 

A tale scopo, utili i convenzionamenti: quello tra GEPI e Agenzia del Lavoro così come quello, da realizzare, tra GEPI e Regione. 

La Regione, per svolgere il ruolo che abbiamo in mente per essa, deve cambiare radicalmente modo di essere, anche, ovviamente, attraverso attribuzioni di competenze da parte dello Stato. Deve operare per grandi progetti, capaci di valorizzare le risorse che vi si impegnano piuttosto che con interventi non unitari, dispersivi, non finalizzati, come ha fatto finora. Deve essere il centro propulsore che unifica risorse nazionali, locali e comunitarie per perseguire obiettivi ben identificati, Deve costituire sedi permanenti di confronto con le parti sociali, con i Sindacati, con la Confindustria e con gli imprenditori pubblici. A questo fine abbiamo proposto l'istituzione di un organismo sul modello del CNEL nazionale, con precisi compiti di studio e di proposta. 

La gamma degli interventi va ampliata: 

- gli incentivi andranno necessariamente rivisti in prospettiva. 

Per quanto riguarda gli aiuti CEE e quelli della legge 64, lo stesso CRESA, pur giudicando positivamente la conclusione della cosiddetta vertenza Abruzzo-CEE, ritiene comunque che le agevolazioni comunitarie e l'intervento straordinario nazionale non siano di per sé sufficienti alla realizzazione della "maturità" dell'Abruzzo. Va valutato, infine, un uso degli incentivi in ambito regionale per favorire operazioni di riequilibrio territoriale. - le infrastrutture: viabilità e trasporti in genere, telecomunicazioni, raccolta e smaltimento dei rifiuti industriali oltre che urbani, aree industriali attrezzate, etc; 

- la promozione industriale vera e propria: la formazione professionale, i servizi alle imprese, l'informazione, la politica del credito, la ricerca e l'Università, la commercializzazione dei prodotti, etc; 

Già in occasione della presentazione del Piano di Sviluppo Regionale CGIL, CISL e UIL hanno discusso le linee generali dei possibili grandi progetti, come per esempio, la creazione del polo tecnologico, oppure il polo della ricerca informatica della Vai Vibrata, oppure ancora l'area terziaria della Vai Pescara. Sono ragionamenti importanti. E' però anche vero che l'andazzo della Regione mal si concilia con prospettive ampie come queste. La vertenza è stata dunque anche un richiamo di concretezza, e la possibilità di tradurre in atti reali in tempi veloci gli impegni contenuti negli accordi è la pre-condizione per tornare a discutere di più grandi opzioni con la speranza di contribuire così. a disegnare il futuro della nostra regione, e non invece con il sospetto di partecipare ad una sia pur interessante esercitazione accademica. 

Dobbiamo quindi evitare di considerare la sospensione dello sciopero del 6 un rifluire dell'impegno su questi temi, di cui magari tornare ad occuparci quando si renderà necessario fissare una nuova data per la mobilitazione. Tanto più che le "cose" che vogliamo non sono già pronte e solo da ottenere dalla controparte, ma sono per lo più da costruire attraverso un cambiamento della controparte stessa. 

Ecco allora che se tra gli impegni presi dall'Assessore all'industria Molino c'è la presentazione della proposta di riforma dei consorzi industriali entro il 30 aprile, cioè tra due mesi, noi dobbiamo starci dietro già da adesso affinché la riforma venga predisposta e ci si provi effettivamente a trasformare i consorzi da costruttori—gestori di infrastrutture, non sempre all'altezza della situazione, in enti complessivamente promotori dello sviluppo industriale. Ecco che l'attuazione della legge 317 e del suo completamento regionale, la L. 55, sull'innovazione tecnologica nelle piccole e medie imprese deve vederci chiedere per primi, per esempio, la convocazione dei gruppo di lavoro Regione—Sindacati convenuto. Questa legge tra l'altro non garantisce le risorse attraverso una ripartizione tra le regioni, ma accoglie i progetti validi in ordine di arrivo e fino all'esaurimento dei fondi, indipendentemente, dunque, dalle zone geografiche di provenienza. E' chiaro che ci vogliono informazione, progetti validi e velocità per utilizzarla. Lo stesso atteggiamento incalzante dobbiamo tenere a proposito degli altri punti concordati, quello per cercare una soluzione alla crisi del tessile—abbigliamento, che noi pensiamo debba passare per un vero e proprio piano per aiutare le imprese a trasferirsi dalle fasce basse a quelle medio-alte del mercato, anche utilizzando a tale fine le risorse comunitarie oppure, il punto sulla commercializzazione del prodotto locale, altro elemento strategico per una politica rivolta all'impresa locale; oppure ancora, per quanto riguarda l'accordo con l'Assessore Pollice, l'impegno sulla costituzione dell'Osservatorio Regionale del Lavoro, pur mancante di chiare scelte per la copertura finanziaria del progetto, o l'incontro triangolare con anche l'Associazione Industriali regionale. 

Una proposta dobbiamo inoltre avanzare per il settore dell'edilizia, chiedendo all'AssessoratO per le opere pubbliche e la casa si istituire un OSSERVATORIO PERMANENTE DELLE OPERE PUBBLICHE per seguire l'andamento del settore e per garantire la trasparenza degli appalti. Vanno inoltre promossi consorzi di imprese, anche non permanenti, legati a singole grandi opere. Si sta infatti verificando che gli appalti oltre i 500 milioni vanno regolarmente a imprese di fuori. Il settore in Abruzzo, purtroppo, vive una situazione di crescente precarietà, nonostante il ruolo trainante avuto a suo tempo ed i numerosi addetti, circa 40.000. Il dato negativo è costituito dal fatto che oltre il 90% delle imprese non arriva ai 10 dipendenti. 

E veniamo brevemente, infine, ad un altro aspetto dolente: le Associazioni Industriali. A differenza di noi, la Confindustria non solo non garantisce nemmeno una omogeneità di comportamenti dei propri associati, ma soprattutto non interpreta il ruolo significativo che oggettivamente dovrebbe avere. Probabilmente è la stessa composizione dell'industria a riflettersi negativamente sulle Associazioni Industriali, con il dualismo tra imprese di provenienza extra regionale da un lato e piccola impresa locale dall'altro. Anche qui dobbiamo provocare un cambiamento, perché anche di qui passa, attraverso l'assunzione di un ruolo adeguato da parte della Confindustria, la possibilità di un rapporto, che oggi non c'è, tra il potere politico regionale ed i grandi gruppi presenti in Abruzzo. 

Ugualmente negativo il giudizio sui rapporti con le Partecipazioni Statali. Se questa prima fase della vertenza ci ha visti concentrare l'attenzione soprattutto sulla Regione, la seconda deve vederci investire anche le controparti imprenditoriali. Per quanto riguarda quelle pubbliche in particolare, proponiamo la costituzione di un comitato permanente che includa loro rappresentanze da costituirsi presso la Presidenza della Giunta in attesa di una soluzione più complessiva con la realizzazione del CNEL regionale, per il quale il Presidente della Giunta si è impegnato a presentare un progetto attuativo. 

E' emersa negli Esecutivi unitari del 20 l'esigenza, ripresa positivamente nelle conclusioni della riunione, di allargare alle categorie ed alle Camere Sindacali territoriali la gestione dell'insieme di queste iniziative. Potrebbe essere utile, per esempio, che non solo i momenti negoziali ma anche quelli di elaborazione vedessero in collegamento ravvicinato tra loro le diverse parti e competenze del Sindacato. 

Per il settore industria, si potrebbe costituire un gruppo di lavoro per aggiornare e socializZare i dati della crisi e per dare al negoziato con le controparti un maggiore spessore derivante dalla disponibilità di conoscenze di prima mano dei problemi, senza con ciò nulla togliere al ruolo delle Segreterie Confederali, ché anzi l'esigenza della sintesi è uno dei tratti innovativi centrali che opponiamo all'accoppiata localismo-interventi a pioggia. 

L'individuazione dell'importanza del livello regionale salda insieme la discussione sulla vertenza di CGIL, CISL, UIL Abruzzo e quella sull'industria. Ma è evidente anche la rete di nessi tra i temi che affrontiamo oggi e quelli più generali che stanno davanti al Paese, (dall'economia ai temi politici ed istituzionali, all'Europa). 

Il nostro dibattito interno deve finalmente diventare anche molto pubblico e coinvolgere lavoratori e cittadini nelle proposte e nel metodo del Sindacato generale, non corporativo, che vogliamo fare. 

CGIL, CISL, UIL costituiscono, nella delicatissima crisi che il nostro Paese sta vivendo, un punto di riferimento nazionale di grande importanza. Devono però uscire con più decisione allo scoperto, alla conquista della gente, cui troppe altre forze si rivolgono rumorosamente con proposte di divisione, di corporazione, di egoismo. 

E' importante a questo fine che la messa a punto della proposta unitaria a livello nazionale eviti contraddizioni anche solo tattiche tra le organizzazioni sindacali in un momento in cui grandi sono le divergenze strategiche rispetto alle controparti. 

Se la discussione di oggi ci servirà, come auspichiamo, per precisare meglio analisi e proposte sui temi presentati, dobbiamo farne anche il punto di partenza per una serie di assemblee nei luoghi di lavoro e di iniziative esterne. 
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