Legge di stabilità 2016 - Audizione Guglielmo Loy e Domenico Proietti – segreteria confederale Uil

Testo del documento di osservazioni della Uil presentato alle Commissioni Bilancio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati

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LEGGE DI STABILITA’ 2016

AUDIZIONE

TESTO DEL DOCUMENTO DI OSSERVAZIONI DELLA UIL PRESENTATO ALLE COMMISSIONI BILANCIO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA E DELLA  CAMERA DEI DEPUTATI   

Guglielmo Loy e Domenico Proietti – Segreteria Confederale UIL 

Roma 2 Novembre 2015

Diamo atto al Governo di aver varato, per il secondo anno consecutivo, una Legge di Stabilità espansiva, cioè un provvedimento abbandona la logica del rigore dei conti a tutti i costi.

Ma proprio perché è questa una Legge di Stabilità di stampo espansivo in essa troviamo luci e ombre.

Più ombre che luci in quanto non ci sono quei provvedimenti mirati alla crescita economica.

Più ombre che luci per quello che contiene e, soprattutto, per quello che non è previsto (riforma Fornero e Sud).

È un provvedimento privo di una visione strategica di medio periodo, in grado di rafforzare e indirizzare i timidi di segnali di uscita dalla regressione.

Infatti se si analizzano nel dettaglio le varie misure, a nostro parere, esse sono una sommatoria di piccoli interventi, che non scontentano nessuno, ma neppure accontentano tutti.

Diceva un noto politico qualche anno fa: “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Ecco non vorremmo pensar male ma, a nostro avviso, siamo in presenza di una Legge di Stabilità di stampo, se non  elettoralistico, con un respiro a breve tempo. 

Nel merito, tutto ruota intorno alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, all’abolizione delle tasse sulla prima casa e a tagli di spesa insufficienti, sbagliati e lineari.

Nel dettaglio, l'aspetto più negativo è il finanziamento, risibile, per il rinnovo dei contratti dei lavoratori del pubblico impiego: i 300 milioni stanziati per il 2016 equivalgono a un incremento di soli 8 euro mensili lordi.

Questa scelta è in palese violazione della sentenza della Corte costituzionale che ha prescritto la necessità di rinnovare i contratti già a partire dal 2015.

Quel che è più grave, però, è che emerge un'indicazione regressiva: uno Stato che non si preoccupa dei propri lavoratori è uno Stato che non crede nel lavoro dei propri dipendenti.    

I dipendenti pubblici hanno pagato un tributo salato all’obiettivo della stabilizzazione dei conti pubblici, mentre le retribuzioni nel settore manifatturiero e dei servizi, nonostante la crisi hanno continuato a crescere, anche se parzialmente, le retribuzioni pro capite nel pubblico impiego sono diminuite quasi del 10%.

Nello specifico, gli effetti del blocco della contrattazione hanno causato una grossa perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni: da gennaio 2009 al luglio 2015 i pubblici dipendenti hanno perso, in media, a seconda dei comparti,  dai 1.424 euro annui ai 2.075 euro annui pro capite.

Inoltre è intollerabile che la spending review si continui a fare sulla spalle delle lavoratrici e lavoratori pubblici, attraverso il contenimento delle “buste paga” e della riduzione della percentuale di turn over.

Sarebbe, invece, necessario per il rilanciare l’efficienza e l’efficacia della pubblica amministrazione  misurare le risorse degli incrementi salariali al rilancio della produttività del settore.

A tal fine sarebbe opportuno il rilancio e la revisione dei meccanismi della contrattazione decentrata e il pieno ripristino dei fondi dedicati (Fondi di Amministrazione), con la detassazione di tali premi come avviene nel settore privato.

Inoltre sul pubblico impiego occorre dare una risposta “senza se e senza ma” alla professionalità acquisita dal personale delle Province, a seguito del pasticcio fatto con la “riforma Del Rio”.

Sono queste le ragioni per le quali UIL, CGIL e CISL del pubblico impiego hanno indetto una manifestazione per il prossimo 28 novembre.

Quanto alle clausole di salvaguardia è bene che siano state sterilizzati i 16,8 miliardi di euro per il 2016, che ci portiamo dietro dalla legge di Stabilità del 2014, ma resta, però, un’eredità pesante per il 2017, quando ci sarà da disinnescare l’aumento dal 10% al 13% e dal 22% al 24% dell’IVA.

In sostanza  stiamo parlando di 15,1 miliardi di euro pronti a scattare nel 2017 a cui si aggiungono i 2 miliardi di euro di aumenti delle accise sui carburanti pronti a scattare dal prossimo mese di Maggio in caso di mancato gettito dalla “voluntary disclosure. Inoltre sempre in tema di rinvii, si rimanda al 2017 e al 2018, ulteriori tagli alle Regioni rispettivamente per 3,9 miliardi e 5 miliardi di euro.

E’ bene chiarire da subito che gli aumenti sull’imposta sui consumi, anche se ”caldeggiati” da Bruxelles, la quale ci invita a rivedere le aliquote dell’IVA agevolate, sono una misura regressiva in quanto drenano gli incrementi dei consumi interni e, soprattutto, hanno un impatto fortemente negativo per i redditi più bassi.

Quanto all'abolizione della tasse sulla prima casa, per la UIL ogni riduzione del carico fiscale è benvenuta, compresa la TASI, dal momento che l’81% dei proprietari di una abitazione principale sono lavoratori e lavoratrici dipendenti e pensionate e pensionati.

Ma come UIL ci chiediamo se è prioritario partire dall’abolizione della TASI, oppure se era meglio, con quasi 5 miliardi di euro a disposizione, partire dalla riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente e pensioni.

Tanto per fare qualche esempio: non si poteva eliminare l’Addizionale Comunale IRPEF, che tra l’altro ha quasi lo stesso gettito (4 miliardi di euro), della TASI sulla prima casa?

Con  5 miliardi di euro non si poteva estendere il “bonus degli 80 euro” ai 4 milioni di pensionati con redditi fino ai 15 mila euro?

Non erano anche questi provvedimenti volti a restituire fiducia ai consumatori e far ripartire i consumi interni?

Tra l’altro con l’abolizione della TASI sulla prima casa si sancisce l’abbandono del principio fondante dell’autonomia finanziaria degli Enti Locali, compresa la responsabilizzazione degli amministratori locali, per un ritorno al principio della “finanza derivata”, costituita dai trasferimenti dallo Stato.

Per questo diventa fondamentale, come abbiamo avuto modo di dire più di qualche volta, assicurare nel tempo e strutturalmente la totale e completa copertura delle risorse ai Comuni, per evitare ciò che è già accaduto in passato: si toglie una tassa e si aumentano altre tasse, oppure di riducono i servizi essenziali.

E su questo versante, quello dell’aumento di altre tasse locali, non è sufficiente ne  rassicurante il blocco di 1 anno degli aumenti dei tributi propri dei Comuni.

Questo perché, come è successo esattamente a partire dal 2008 (eliminazione dell’ICI sulla prima casa e blocco aumenti tributi locali), al 2012 (reintroduzione dell’IMU sulla prima casa e sblocco dei tributi locali), nel frattempo, senza considerare i forti aumenti dei tributi locali una volta sbloccati (aumenti medi del 15,4%), sono aumentate le tariffe dei servizi alla persona: le rette scolastiche sono aumentate tra il 2009 ed il 2011 del 10,6% (70 euro l’anno); gli asili nido sono aumentati del 4,6% (110 euro l’anno).

E a proposito di asili nido, nella Legge di Stabilità non vi è traccia di finanziamenti per il potenziamento di questo fondamentale servizio di conciliazione vita lavoro.

Così come, resta la forte preoccupazione per  il fatto che, a fronte del mancato rifinanziamento integrale del sistema sanitario, si blocchino gli aumenti delle imposte e tasse regionali.

Primo, perché da questo blocco sono escluse le Regioni alle prese co i deficit sanitari, in secondo luogo sono escluse le Regioni alle prese con le anticipazioni di liquidità per il pagamento dei fornitori.

Ciò potrà comportare ulteriori aumenti, in molte Regioni,  delle Addizionali Regionali IRPEF  o dei Ticket sanitari.

Infatti nel 2015 per oltre 5,1 milioni di contribuenti c’è stato un aumento del prelievo dell’IRPEF Regionale nelle realtà  alle prese con “conti traballanti”.

In “soldini”: si è passati da un gettito medio delle Addizionali di 362 euro medi pro capite nel 2014, ai 389 euro del 2015 con un aumento del 7,5% (17 euro medi).

Mentre per quanto riguarda i Ticket sanitari nel 2014 l’incasso è stato di 1,5 miliardi di euro, cifra  che se  spalmata su tutta la popolazione equivale appunto a 24 euro medi l’anno, con punte di 44 euro medi in Val D’Aosta; 38 euro in Friuli Venezia Giulia; 36 euro in Toscana; 35 euro nelle Marche; 34 euro in Veneto ed Emilia Romagna.

E a proposito delle anticipazioni di liquidità per il pagamento dei fornitori fatte dalle Regioni negli anni scorsi, andrebbe fatta una “operazione trasparenza”, a seguito delle denunce della Corte dei Conti, alla quale il Governo centrale non può sottrarsi.

Altrimenti il risultato sarà quello di scoprire gradualmente altre Regioni, come il Piemonte, dove questo fenomeno potrebbe portare al “default” i conti delle stesse Regioni con conseguenze che avranno un impatto doppiamente negativo sui cittadini: meno servizi e più tasse.

Mentre è importante il ritorno alla detassazione degli incrementi salariali legati alla produttività, anche se le risorse appostate sembrano insufficienti anche a fronte dell’ampliamento della platea dei beneficiari (da 40 mila euro a 50 mila euro), e, nonostante si riduca la soglia massima fissata (da 3 mila euro a 2 mila euro).

Inoltre sarebbe  opportuno che il Decreto congiunto del Ministero del Lavoro  e del Ministero dell’Economia con la quale vengono stabiliti i criteri di misurazione di incremento di produttività e redditività, nonché gli strumenti e le modalità di partecipazione dei lavoratori e lavoratrici all’organizzazione del lavoro sia concordato con le parti sociali interessate alla contrattazione. 

Così come sono apprezzabili le misure che riguardano il super ammortamento per le imprese, l'eliminazione dell'IMU sui terreni agricoli e dell’IRAP sulle aziende agricole, i la proroga degli sgravi per ristrutturazioni edilizie e per l’efficientamento energetico, anche se quest’ultimi andrebbero resi strutturali.

Il piano di contrasto alla povertà è una novità rispetto agli anni precedenti anche se è ancora insufficiente sia in termini di finanziamento sia in termini di copertura della platea dei cittadini, senza considerare il fatto che siamo ancora in assenza del “Piano Nazionale di Contrasto alla Povertà”.

Occorreva prendere una misura più efficace delineata da subito nell’ambito della povertà assoluta.

Inoltre, su questo provvedimento continua la “distrazione” di risorse destinate al Sud d’Italia, in quanto i 600 milioni di euro di finanziamento sono comprensivi dei 167 milioni di euro del Piano di Azione e Coesione, che il “Decreto Letta-Giovannini” destinava alla sperimentazione dei sussidi di povertà a tutto il territorio del Sud.

Quanto al rinnovo delle concessioni e alla possibilità di un a parziale sanatoria per i punti giochi è evidente il disinteresse del Governo, ovvero l’interesse a fare “cassa”, per una patologia (quella della Ludopatia), tra le più diffuse e drammatiche che colpiscono giovani, pensionati e lavoratori dipendenti, investendo potenzialmente una platea di quasi 4 milioni di cittadini.

Quanto all’innalzamento della NO TAX AREA per i pensionati, la misura sarebbe da accogliere con favore, in quanto è una proposta “storica” del sindacato, ma la sua operatività a partire dal 2017 e la limitazione ai redditi fino ai 15 mila euro ne depotenzia la portata, senza considerare la stessa  NO TAX AREA dei pensionati non è ancora una volta equiparata a quella dei lavoro dipendente.

È sconcertante la proroga operata dal Governo del blocco della perequazione introdotto dal Governo Letta, in quanto a nostro avviso misura contraddice quanto sancito dall’Alta Corte che ha reso incostituzionale il precedente stop all’indicizzazione introdotto con la Legge Fornero, senza considerare il fatto che, il Governo continua a fare cassa sulla previdenza, penalizzando milioni di pensionati.

Quanto al tema “bollente” dell’elevazione dell’uso del contante da mille euro a 3 mila euro, altro non è che un indebolimento dell’azione rivolta al contrasto all’evasione fiscale.

Il rilancio dei consumi non si persegue portando a 3 mila euro l’uso del contante.

L’argomentazione portata a sostegno di questa proposta relativa al fatto che aumenterebbe i consumi è totalmente priva di fondamento in quanto non aggiunge un centesimo nelle tasche degli italiani.

Per rilanciare i consumi occorrono politiche e contrattuali che diano risorse ai lavoratori dipendenti e pensionati, la stragrande maggioranza dei contribuenti.

L’oggettivo indebolimento del sistema sanzionatorio varato con la Legge Delega, il depotenziamento del ruolo dell’Agenzia fiscale sul versante dei controlli e dell’accertamento e l’innalzamento della soglia di utilizzo del contante non rendono in alcun modo credibile la ripetuta affermazione del Governo di voler contrastare l’evasione.

Tra l’altro per facilitare l’uso delle carte elettroniche per i pagamenti sarebbe stato necessario intervenire con il settore bancario per ridurne i costi di gestione, come accade in altri Paese Europei.

Sul fronte delle pensioni, poi, è inaccettabile che, nonostante i proclami del Presidente del Consiglio dei mesi precedenti, non sia stato affrontato il tema della flessibilità in uscita, e gli interventi in materia previdenziale sono parziali ed in alcuni casi peggiorativi.

Rinunciando ad intervenire su questa operazione si continuano a penalizzare sia lavoratori, sia i giovani i quali vedono ancora bloccato il turn over nel mercato del lavoro.

Infatti l’anello più debole del nostro mercato del lavoro, nonostante i proclami del Governo, è l’occupazione giovanile, soprattutto nelle aree deboli del Paese.

Tra l’altro il depotenziamento, sia nella durata sia nell’intensità di aiuto, del sistema della decontribuzione rischia di non essere competitivo con altre forme di incentivi presenti e non aiuterà certamente i giovani a trovare un lavoro “più stabile”.

Inoltre la carenza cronica di risorse destinate a politiche attive, unita al problema dell’incertezza amministrativa e istituzionale per il funzionamento dei centri per l’impiego, hanno fatto sì che le  tanto decantate misure previste dalla “Garanzia Giovani”, si siano trasformate in un sostanziale “flop”.

Un piccolo passo avanti, tuttavia, è stato fatto con l'introduzione del part-time negli anni antecedenti al pensionamento: era stata una richiesta della Uil, proprio per favorire la cosiddetta staffetta generazionale, e su questo punto il nostro giudizio è positivo.

Sull’opzione donna il Governo, invece, ha scelto di non agire, limitandosi a chiarificare la norma ed a sancire che tutte le lavoratrici che matureranno i requisiti entro il 31 dicembre 2015 potranno accedere alla pensione anche a decorrere da data successiva al 1° gennaio 2016.

Quanto alla settima salvaguardia dei cosiddetti “esodati”, essa è una misura necessaria per dare una risposta a migliaia di lavoratori, ma si continua ad escludere una porzione non esigua di lavoratori coinvolti dalle ingiustizie della Legge Fornero.

Desta, inoltre, non poche perplessità la scelta di provvedere alle coperture per gli interventi in materia previdenziale e per il rifinanziamento della Cassa integrazione in Deroga, andando ad incidere sul Fondo per “i lavori usuranti”.

E a proposito di ammortizzatori, bene l’aumento delle risorse per la Cassa in Deroga, ma male la riduzione del periodo da 5 mesi e 3 mesi.

Senza la certezza del pieno avvio, già dai primi mesi del 2016,  dei Fondi di Solidarietà per l’integrazione salariale.

Inoltre nella Legge di Stabilità non si risolve il problema del dimezzamento del periodo della NASPI per i lavoratori e lavoratrici stagionali di tutti i settori.

Né tantomeno si è ancora intervenuti  per modificare la norma per oltre 300 mila lavoratrici e lavoratori del settore domestico non avranno diritto alla nuova NASPI, a seguito dell’interpretazione da parte dell’INPS che per maturare il diritto ci vuole un lavoro con ameno 24 ore settimanali, per 5 settimane nell’ultimo anno.

Infine,  per quanto riguarda il tema degli investimenti, continua la progressiva riduzione della spesa in conto capitale e le spese per gli investimenti e per lo sviluppo che sono, sostanzialmente demandate soltanto all’accelerazione della spesa dei Fondi Comunitari, attraverso la clausola investimenti, che vale circa 11,3 miliardi di euro di cui 7 miliardi al Sud.

Da questo punto di vista, quindi non siamo in presenza di risorse aggiuntive, ma di risorse già “spendibili”.

Va da sé che questa accelerazione di spesa è la benvenuta, ma non vorremmo che l’”ansia da prestazione” (riuscire a spendere in un anno 5,1 miliardi di cofinanziamento nazionale), per poter usufruire della clausola di investimenti porti ad una spesa che guarda più alla quantità che alla qualità degli interventi

Quanto al Sud d’Italia, esso è il grande assente di questa Legge di Stabilità.

Nonostante i proclami e le belle intenzioni del Governo, se si escludono i “doverosi” finanziamenti per la “terra dei fuochi” e per il Fondo di Garanzia per l’ILVA, oltre appunto all’accelerazione della spesa dei fondi europei, il Sud è il grande assente nella Legge di Stabilità.

Stando alle dichiarazioni del Governo sarebbe prossima la predisposizione di 15 “mini master plan per il Sud”, ad oggi ancora “avvolti nella nebbia”, ma che a quanto pare altro sarebbero che, una “lista della spesa” individuata insieme con le Regioni.

A nostro avviso, invece al Sud occorre ben altro iniziando da significativi investimenti per le infrastrutture materiali e immateriali, concentrando le risorse su pochi ma utili progetti utili allo sviluppo ed alla ripresa economica.

Nel Sud occorre reintrodurre, una politica di fiscalità di vantaggio che colmi il GAP produttivo tra le varie aree del Paese.

Oggi produrre al Sud beni e servizi ha un costo maggiore (fino al 30% in più), per l’assenza di un adeguato sistema di infrastrutture a materiali ed immateriali. 

Su questo versante, anche se dal nostro punto di vista era insufficiente, fino allo scorso anno, quantomeno il costo del lavoro era minore al Sud in quanto la deduzione dell’imponibile IRAP del costo del lavoro a tempo indeterminato era doppia rispetto al Centro-Nord.

Con l’eliminazione dall’IRAP del costo del lavoro “tout court” per tutte le aree del Paese, operata con la Legge di Stabilità 2015, il costo del lavoro è uguale tanto al Centro-Nord, quanto al Sud.

Occorre quindi mantenere, per il Sud, le attuali regole (3 anni e decontribuzione piena), e renderlo strutturale l’esonero contributivo per le nuove assunzioni o trasformazioni a tempo indeterminato.

Detassare gli utili delle imprese, attraverso l’azzeramento dell’IRES per 3 anni a quelle imprese, che attraverso nuove assunzioni a tempo indeterminato aumentino la loro base occupazionale.

Inoltre, nel Sud d’Italia, occorrerebbe individuare in ogni Regione delle “Zone Economiche Speciali”, ovvero delle zone con tassazione diretta ed indiretta inferiore a quella stabilita dalla Legge, quale strumento attrattivo di investimenti. 

Tutti questi strumenti di fiscalità di vantaggio sono tutti compatibili con la disciplina sugli Aiuti di Stato.

A tali obiettivi potrebbero essere destinati parte delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che per il periodo 2014-2020 valgono oltre 50 miliardi di euro e che stando alla tabelle della Legge di Stabilità diventerebbero spendibili soltanto a partire dal 2019.

Infine i tagli che la Legge di Stabilità prevede per i CAF e Patronati sono ingiustificati e inaccettabili.

Negli ultimi anni sono stati fatti interventi che hanno già ridotto ingiustamente i compensi a questi due settori.

I CAF e i Patronati ricevono un compenso che copre solo un terzo del costo industriale delle loro attività e ulteriori tagli renderebbero pressoché impossibile continuare a svolgere efficacemente i propri servizi. Essi, svolgendo un lavoro di alta qualità e professionalità, offrendo servizi ai cittadini che lo Stato italiano non è in grado di svolgere e contribuendo in maniera determinante all’ammodernamento della Pubblica amministrazione.

I CAF e i Patronati, inoltre, come rilevano tutte le indagini demoscopiche, godono di oltre il 95% di apprezzamento e consenso degli utenti che a loro si rivolgono.

La UIL chiede al Parlamento di eliminare i tagli a questi due importanti strumenti al servizio della comunità, semplicemente i primi a subirne le conseguenze sarebbero i cittadini più fragili e disagiati

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